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Un viaggio nel tempo immersi nella natura

LE 8 TAPPE LUNGO IL SENTIERO

"FONTE ROMANA"

Tappa 1

Fonte Romana

"Romana, proprio romana non lo so. Ricordo la sorgente che esce dal sottosuolo da tempi immemorabili. 

Tutti la chiamano “Fonte romana”, anche io la chiamo così! È sicuramente antica ma 

è  difficile dire quando sia stata costruita, neanche gli archeologi, con le loro ricerche, ci sono riusciti.

Hai visto che forma particolare? Ci sono delle scale che portano in una vasca sotterranea, nella quale si raccolgono le acque. Questo ci racconta quanto l’acqua fosse preziosa. Un tempo, infatti, non arrivava in tutte le case dal rubinetto e 

per irrigare i campi non c’erano i moderni impianti di oggi. In passato si usavano quindi queste fonti...ed era tutto più faticoso!"

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PERCHÈ VIENE CHIAMATA FONTE “ROMANA”

Sicuramente in epoca romana la Valle dei Laghi era percorsa da vie di passaggio. Collegavano l’Alto Garda alla Valle dell’Adige dove si trovava Tridentum, l’attuale Trento, importante centro politico ed economico. Cavedine faceva allora parte del municipio di Brescia (Brixia). 

Sul sentiero che passa vicino alla fonte “romana”, talvolta si osservano nella roccia solchi che assomigliano a quelli dei carri. Probabilmente sono stati lasciati da mezzi usati in passato per il trasporto di legna e altro materiale dal bosco ai villaggi.

La tradizione locale vuole, invece, che si tratti proprio di solchi lasciati dal passaggio dei carri romani e che, di conseguenza, romana sia la struttura della fonte che potete osservare in questa tappa. 

Non a caso, la strada del paese all’imbocco del sentiero è stata chiamata “Via dei Romani”.

Purtroppo non sono arrivate a noi tracce archeologiche certe del passaggio dei romani in questo punto.

CAPITEL DEI MERICANI

Tappa 2

Capitel de Mericani

CAPITELLO DEDICATO A SANTA MARIA ASSUNTA

Prova ad immaginare di vivere in una terra molto povera e di faticare per avere un piatto da mangiare. Cosa faresti? Da sempre alcune persone in questa situazione, decidono di lasciare il proprio paese, in cerca di fortuna.

Vedi questo capitello? È dedicato a Santa Maria Assunta e ci racconta la storia dei migranti della Valle di Cavedine, che alla fine dell’Ottocento, andarono in America per cercare condizioni di vita migliori. 

Lo costruirono nel 1923 al loro ritorno in Trentino, con i soldi guadagnati in America, per ringraziare così la Madonna che li aveva protetti durante il pericoloso viaggio sulle insidiose onde dell’oceano. 

Prova a domandare ai tuoi nonni se i loro antenati sono emigrati nel Nuovo Mondo: potresti scoprire delle storie davvero interessanti!

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L’EMIGRAZIONE DELLA VALLE DEI LAGHI

La gente di montagna, come quella che viveva nelle valli del Trentino, è stata nella storia più volte soggetta a migrazione. 

La situazione socio-economica in Valle dei Laghi alla fine dell’Ottocento continuava ad essere ancorata ad un’agricoltura di sussistenza e ad una pratica di coltivazione piuttosto arretrata. Questo favoriva una povertà inarrestabile, che spingeva le persone a cercare migliori condizioni di vita in altri Paesi. 

Verso la fine dell’Ottocento cominciò, in Valle dei Laghi, una massiccia ondata migratoria verso il continente americano. Stando alla statistica relizzata da Don Lorenzo Guetti, fondatore della cooperazione in Trentino, tra il 1870 ed il 1888 espatriarono 1242 persone. 

 

“DA CAVEDINE. FESTA DI FEDE E DI FRATELLANZA”

Questo è il titolo di un articolo uscito sul quotidiano Il Popolo Trentino del 5 settembre 1923, che racconta della processione solenne che portò la statua dell’Assunta da Cavedine a questo capitello. Furono proprio i “mericani”, i migranti del paese rientrati dall’America, a trasportarla e, nel momento in cui la sistemarono nell’edicola, dalla gente in processione si “sprigionò un grido: viva Maria Assunta! Viva i nostri americani!“

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COME L'UOMO CAMBIA IL PAESAGGIO

Tappa 3

Come l'uomo cambia il paesaggio

LA VALLE DI CAVEDINE E IL MONTE BONDONE

Affacciati a questa finestra: cosa vedi? Sembra strano ma non c’è quasi niente di naturale in quello che stai osservando. Devi sapere che il paesaggio è qualcosa che cambia nei secoli a causa del continuo intervento dell’uomo. Il paesaggio del passato quindi non era uguale a quello che vedi ora e il bosco di oggi è frutto della “coltivazione” degli alberi da parte dell’uomo.

Mi ricordo, ad esempio, che alla fine del 1700 il versante del Monte Bondone che vedi di fronte a te era spelacchiato: i boschi erano stati tutti tagliati per fare la legna 

e fare spazio ai pascoli e alle coltivazioni agricole. Soltanto dopo sono stati piantati nuovamente gli alberi.

L’uomo ha frequentato questa valle dalla preistoria fino ad oggi: immagina se avessi avuto la macchina fotografica, quanti paesaggi diversi potrei mostrarti!

UN TERRITORIO VISSUTO DA SEMPRE

Tracce degli insediamenti più antichi sono state trovate in alta quota sul Monte Bondone, considerato un vero e proprio scrigno archeologico. Da qui si vede Bocca Vaiona, dove sono presenti molti siti preistorici. La frequentazione continua in epoca romana, ed arriva al Medioevo con i resti del così detto Castel Piovan, nelle vicinanze dell’abitato di Stravino, di cui sono rimaste labili tracce.

 

CLIMA MITE E PIANTE DEL MEDITERRANEO

La costante frequentazione della valle da parte dell’uomo è anche legata alle condizioni climatiche particolarmente miti, generate dalla prossimità di un grande lago come quello del Garda. Indizio di una condizione climatica mite è la presenza del leccio. Qui si osserva l’estremo limite settentrionale della diffusione di questa pianta, tipica dell’area mediterranea. 

 

LO SFRUTTAMENTO DEL BOSCO

A metà del 1700 questo lato del Bondone si presentava spoglio. Lo sfruttamento intensivo del territorio fu regolato dalle comunità locali che introdussero norme precise sul suo utilizzo. Il bosco che osserviamo oggi è per buona parte coltivato. Solo negli ultimi anni l’abbandono delle pratiche tradizionali ha permesso alla natura di riconquistare spazi precedentemente liberi: sono i boschi di neoformazione.

La Cosina

La Cosina

Tappa 4

Hai mai pensato a cosa faresti in una grotta? Quella che vedi è stata usata come riparo dai pastori per moltissimo tempo. Dentro si trova un camino naturale, forse per questo è stata chiamata “Cosina”, che nel nostro dialetto significa “cucina”.

Nel 1912, durante uno scavo archeologico, Don Felice Vogt e Giacomo Roberti, un importante studioso trentino di storia antica e archeologia, hanno scoperto delle sepolture antichissime...ma io le avevo viste molto tempo prima!

Le ossa risalgono alla preistoria: pensa, hanno più di 4000 anni! Assieme alle 

ossa hanno trovato una bellissima lama

di pugnale in selce, un’arma che nei riti funerari di allora serviva probabilmente ad  acompagnare il defunto nell’aldilà.

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I RITI FUNERARI

Seppellire in grotte e ripari era un’usanza frequente nell’età del Rame e nelle fasi iniziali del Bronzo antico (all’incirca fra 5500 e 4000 anni fa), in particolare nel territorio alpino e appenninico. Il rituale era lungo e complesso così da permettere ai defunti di passare dalla dimora terrena al mondo degli antenati.

In questa grotticella, i corpi di tre maschi, tre femmine e tre bambini, erano stati deposti in fosse poco profonde, in posizione rannicchiata, con il fianco sinistro appoggiato a una grossa pietra.

 

IL CORREDO FUNEBRE

I corredi funebri sono oggetti sepolti assieme ai defunti, ritenuti utili al viaggio verso l’aldilà.

Alla Cosina sono stati rinvenuti frammenti di contenitori in ceramica e strumenti in selce, fra i quali una lama di pugnale.

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FALESIA "LA COSINA"

Tappa 5

Falesia La Cosina

Arrampicarmi non è la mia specialità e davanti a questa parete di roccia sono davvero una talpa! Ma con la giusta attrezzatura e assicurandoti bene, questo è uno dei pochi punti di tutta la valle in cui puoi imparare ad arrampicare. È una parete che gli esperti definiscono facile, giusta giusta per tutta la famiglia.

Conta ben 37 vie di arrampicata, se guardi alla base sono numerate...e non solo! Ogni via ha un nome dato dagli arrampicatori che per primi le hanno tracciate: “volpe”, “tasso”, “faggio”... addirittura due sono chiamate 

“Mia e il nonno” e “Yuki e il nonno”, nomi che un nonno arrampicatore ha dedicato ai nipotini. 

Allora, se hai l’attrezzatura e hai vicino una persona con esperienza che ti aiuta, puoi allenarti per diventare un arrampicatore provetto!

LE FALESIE E L’ARRAMPICATA IN TRENTINO

La falesia è una parete di roccia liscia e veriticale la cui formazione è data da una combinazione di eventi tettonici e di erosione. Questa falesia fa parte delle più di 100 falesie che si distribuiscono nell’area che si estende dal lago di Garda, alla Valle dei Laghi, fino a Trento. La concentrazione di falesie in un’area così ristretta, fa di quest’angolo del Trentino un paradiso per gli arrampicatori. Ogni falesia può avere da 20 a 200 vie di arrampicata.

 

I GRADI DI DIFFICOLTÀ

I gradi nell’arrampicata vanno dal 3 al 9 e ogni grado ha 3 livelli 

di difficoltà (A, B, C). Esistono anche il primo e il secondo grado, riferiti al bisogno di sostenersi con le mani su percorsi di montagna particolarmente ripidi e impegantivi.

Il grado di difficoltà è determinato: dalle dimensioni degli appigli, dalla distanza tra un appiglio e l’altro e dall’inclinazione della parete di arrampicata.

 

FALESIA “LA COSINA” 

La falesia “La Cosina” si trova a 600 metri s.l.m., è ideale per le arrampicate estive perchè in un’area ventilata e perchè la sua base è ombreggiata da una fitta vegetazione. 

È stata messa in sicurezza secondo gli standard dell’APT Garda Dolomiti. 

 

ATTENZIONE: se non hai mai arrampicato e non hai un compagno esperto con l’attrezzatura giusta al tuo fianco, questa falesia non fa per te. Non avventurarti nell’arrampicata!

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Tappa 6

Un paesaggio modellato dai ghiacci

Facciamo un salto indietro nel tempo fino a 20.000 anni fa. Sai dove staresti camminando? Su un ghiacciaio! Incredibile, eh? Questo posto era tutto sommerso dal ghiaccio, che arrivava fino al Lago di Garda.  

Circa 15.000 anni fa, l’innalzamento delle temperature, lo ha fatto lentamente ritirare fino a farlo scomparire. Qui il ghiacciaio ha trasformato il paesaggio in qualcosa di unico. I lastroni di calcare che vedi qui attorno sono stati lisciati dal suo passaggio. La parete del Brento, il monte di fronte a te, è il risultato del crollo delle rocce iniziato quando il ghiacciaio si è ritirato. Si sono formate così le Marocche, enormi frane di massi rotolati a valle, che potrai vedere percorrendo la Valle dei Laghi e del Sarca. Anche il lago di Cavedine è una memoria lasciata dal ghiacciaio.  

Vengo spesso in questo magico posto, da qui posso ammirare anche le Dolomiti di Brenta, le cime tra le più belle del Trentino.

UN PAESAGGIO MODELLATO DAI GHIACCI

LE MAROCCHE

“Marocche” è un termine che deriva da “maroc” forma dialettale di 

“sasso”. Usato nella terminologia geologica, identifica frane di crollo collegate al glacialismo. 

Dall’immediato ritiro del grande ghiacciaio del Garda, iniziato circa 15.000 anni fa, infatti, si sono susseguite nel tempo una serie di frane dovute alla cessazione delle pressioni esercitate dal ghiacciaio sui versanti delle montagne. 

In particolare dal versante del Brento, i primi crolli sono stati così violenti che molti massi passarono dalla parte opposta della valle, generando così le Marocche. 

 

I LAGHI DELLA VALLE DEI LAGHI

La Valle dei Laghi è un neotoponimo definito nel 1965 e prende il suo nome dalla presenza di ben 9 laghi distribuiti lungo la valle, 8 dei quali sono da collegare al fenomeno glaciale.

Che tipo di roccia è quella che vediamo da qui?

Tutte le rocce che si vedono da questo punto, comprese quelle 

delle Dolomiti di Brenta, sono rocce sedimentarie di tipo calcareo/dolomitico, che hanno antica origine marina.

Sono state fortemente modellate dal movimento del ghiacciaio durante l’ultima grande glaciazione la cui massima espansione si è verificata circa 20.000 anni fa.

EPIGRAFE FUNERARIA ROMANA

Tappa 7

“TRONO DELLA REGINA” O “CAREGA DEL DIAOL”

Se vai in esplorazione delle rocce di fonte a te, ne troverai una speciale, con una misteriosa incisione. Non sarà facile leggere quello che c’è scritto, il tempo ha consumato la pietra. Ti dò una mano:

PLIAMMVS TERTI M

ANDILONIS F SIBI ET P

RIMAE LIBERTAE VX

di seguito la trascrizione fatta dagli studiosi: Pliammus, Terti Mandilonis f(ilius), sibi et Primae libertae ux(ori)

È complicato, eh! È scritta in latino, sembra una frase breve ma ci dà moltissime informazioni. È un’iscrizione funeraria romana del I secolo dopo Cristo e ci racconta di un uomo di nome Pliammo. Dice che Pliammo era figlio di Terzo Mandilone e che volle costruire una sepoltura per sé e per sua moglie. La moglie si chiamava Prima ed era una schiava liberata (liberta). Dei corpi di Pliammo e Prima gli archeologi non hanno trovato traccia e nemmeno io ricordo dove siano stati sepolti.

EPIGRAFE FUNERARIA ROMANA

COSA CI RACCONTANO I NOMI

Pliammo ed il padre Terzo Mandilone portano nomi di chiara origine indigena, adattati al modo usato dai Romani: nome proprio, nome della famiglia, soprannome della famiglia o della persona. 

 

PERCHÈ TRONO DELLA REGINA

Un’altra interpretazione dell’epigrafe, diventata popolare, ha invece visto nell’incavo della roccia la seduta per la sosta di Giulia Mamea, madre dell’imperatore romano Alessandro Severo, che scelse questo punto come sosta nel viaggio di rientro dalla Germania. Così si spiega il nome “Trono della regina”. 

 

PERCHÈ “CAREGA DEL DIÀOL”

La denominazione locale dialettale “Carega del diàol” (“Sedia del diavolo”) è legata alla tradizione popolare che frequentemente identifica nei manufatti non comprensibili l’opera del demonio.  

 

IL RIPARO DEI PASTORI

A sinistra dell’epigrafe è ancora visibile un ricovero per pastori costruito molto tempo dopo, anche se non sappiamo esattamente quando.

INCISIONI RUPESTRI

Tappa 6

Queste lastre di roccia sono sempre state un ostacolo ai miei spostamenti, per questo non ho scoperto subito la loro particolarità. Guarda bene, vedi qualcosa?

Ci sono delle iscrizioni poco distinguibili. Io faccio fatica a vederle anche se uso la lente! Il tempo le sta cancellando. Ma siamo fortunati! Qui a fianco puoi vedere i disegni che gli archeologi hanno fatto quando le iscrizioni si vedevano ancora bene. Rappresentano croci, impronte di mani 

e coppelle. Non ricordo quando siano state fatte, anche se di certo deve essere accaduto dopo il Medioevo. Purtroppo gli archeologi non hanno trovato indizi per datarle con più precisione. Da sempre è usanza degli umani incidere delle figure nella roccia: pensa che in Trentino e in tutto l’arco alpino ci sono molte testimonianze simili. 

INCISIONI RUPESTRI

RAPPRESENTAZIONE DEL SACRO

Le figure incise rimandano alla devozione della Passione di Cristo: la croce, affiancata dalla lancia e dalla spugna sulla canna, la scala, il martello, i chiodi ed il calice. La mano singola viene solitamente letta come la mano che percosse Gesù nei giorni della passione. La coppia di mani, invece, viene associata, o al gesto di Pilato che si lava le mani, o al passaggio di mano dei trenta denari.

 

COPPELLE

Sono degli incavi circolari, scavati dall’uomo nella roccia, del diametro e della profondità di pochi centimetri. La loro distibuzione sul territorio non sembra casuale, nonostante questo la loro interpretazione rimane incerta.

 

INCISIONI DESTINATE A SCOMPARIRE

Le rocce calcaree sulle quali sono presenti le incisioni sono soggette al fenomeno chiamato “dissoluzione carsica”, una forma di erosione della roccia, causata dagli agenti atmosferici (calcolata in circa 1 mm ogni 100 anni). Negli ultimi decenni il processo di erosione è stato notevolmente accellerato dai fenomeni di innalzamento delle temperature e dalle piogge acide. Queste incisioni rupestri sono quindi destinate a scomparire.

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